La violenza di genere camuffata da “gelosia”

Società | 7 novembre 2024
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Un adolescente su cinque non riconosce la violenza nelle relazioni sentimentali e uno su due non considera violenza la gelosia. Nelle prime relazioni, uno su dieci è stato vittima di pugni, schiaffi o colpi e ha ricevuto addosso oggetti.
Questo è il quadro preoccupante della Survey Teen 2024 della Fondazione Libellula che, per il secondo anno consecutivo, indaga su come i giovani italiani percepiscono violenza e relazioni. L’indagine, condotta su un campione di 1.592 giovani tra i 14 e i 19 anni, mostra come tra i teenagers ci sia una scarsa consapevolezza di abuso e consenso. Un quarto degli intervistati non considera violenza toccare o baciare senza consenso, così come più di un giovane su quattro non vede nulla di male nel raccontare dettagli intimi del partner senza il suo permesso. In generale, si tende a minimizzare la violenza: per un adolescente su quattro è normale diventare violenti se si scopre un tradimento. La percezione della violenza è più bassa, comunque, tra i ragazzi rispetto alle ragazze: a fronte del 2% delle ragazze, il 14% dei ragazzi non ritiene sia un abuso costringere una persona a un rapporto sessuale; per il 19% dei ragazzi e il 4% delle ragazze non è violenza lanciare oggetti contro una persona durante un litigio. In maniera speculare, le ragazze sembrano più capaci di riconoscere la violenza nelle forme di controllo e cercare aiuto quando ne sono vittime o testimoni.
È, dunque, diffusa la confusione tra amore e controllo, così come tra rispetto e possesso. La gelosia è tutt’ora vista come segno essenziale d’amore, tant’è che il 40% delle persone intervistate controlla cellulare e profili social del proprio partner, vuole conoscere le password degli account privati, non considera violenza telefonare o inviare insistentemente messaggi. E, ancora, pretende che il proprio partner usi un certo abbigliamento, accetti di essere geolocalizzato - il controllo sarebbe una forma d'amore - e renda conto di chi frequenta fuori dalla coppia. “Quello che emerge – spiega Giuseppe Di Rienzo, direttore generale di Fondazione Libellula – è uno spaccato complesso accomunato però da alcune tendenze, che sono ad esempio quelle di non considerare la gelosia una forma di violenza. Questo è uno degli elementi più forti emerso dalla nostra ricerca. Infatti comportamenti come quello di chiedere al proprio partner o alla propria partner di geolocalizzarsi quando si è fuori o di condividere la password dei propri profili social non vengono considerati forme di violenza ma anzi sono considerati degli atti d’amore”.
Tali atteggiamenti vengono ricondotti, secondo la lettura fornita da chi ha condotto la ricerca, ad una scarsa educazione all’affettività e ad una cultura patriarcale che hanno contribuito a romanticizzare controllo e violenza. Segno di questa insana cultura patriarcale sono gli stereotipi soprattutto tra i giovani di genere maschile: molti ragazzi sono convinti che nei rapporti le ragazze dicano di no, ma vorrebbero dire sì; inoltre, per un adolescente su tre è normale che un maschio sia più interessato al sesso. Altro effetto di tale cultura patriarcale è che, secondo la Fondazione Libellula, “si stimolano poco i ragazzi a prendersi responsabilità, ragionare sulla violenza di genere analizzandone la genesi e le conseguenze; la loro educazione è intrisa di “sessismo benevolo”, che si manifesta attraverso atteggiamenti paternalistici, protezionisti o con complimenti basati sul genere falsamente positivi, che sottolineano la superiorità o l’inferiorità di un genere rispetto all’altro”.
I risultati della ricerca sottolineano l’urgenza di interventi per educare e sensibilizzare le nuove generazioni. Tre adolescenti su quattro ritengono che il luogo in cui si debba parlare di violenza di genere sia la scuola. “La scuola può essere il luogo giusto perché permette agli adolescenti di confrontarsi su queste tematiche – precisa Di Rienzo - ma è il luogo giusto solo se gli adulti di riferimento, quindi il corpo docente, ha le competenze e la formazione adeguata per poter affrontare queste tematiche. Quindi quello che noi proponiamo per lavorare su queste tematiche – continua Di Rienzo - è sicuramente una formazione che è diverso dall’informazione perché le nostre scuole, le scuole italiane, hanno fatto tante informazioni in questi anni su questi temi, ma forse poca formazione”.
 di Alida Federico

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