L'istruzione è più difficile nel Sud

Cultura | 29 dicembre 2014
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Nel tessuto sociale, il capitale umano qualificato è certamente la chiave di volta per intessere uno sviluppo socio-economico. Esso emerge, dunque, come un elemento trainante per le imprese siciliane di successo e, molto spesso, assume una valenza più incisiva rispetto ad altri fattori. Ciò al fine di irrobustire la capacità di espansione o di sopravvivenza di alcune realtà imprenditoriali locali in una congiuntura economica particolarmente avversa. Ecco perché in questo processo di “crescita”- non solo di tipo qualitativo, ma anche finalizzato alla realizzazione di processi innovativi-  è precipua la funzione affidata all’istruzione.

Essa riveste un ruolo cardine nella presa di coscienza e nella successiva maturazione di una cultura civica e nell’ampliamento delle relazioni fiduciarie. Nel Rapporto 2014 della Fondazione RES è stata analizzata “l’istruzione difficile”, soffermandosi sui divari territoriali. Mediante il focus sulle competenze di base tra Nord e Sud (con particolare riferimento alla Sicilia), ci si è posti soprattutto l’obiettivo di ricercare le principali cause di questo gap senza, tuttavia, perdere di vista la qualità e l’efficienza delle istituzioni scolastiche.

I dati messi a confronto a livello internazionale e presentati dall’OCSE (con l’indagine PISA) hanno da tempo evidenziato come l’Italia si collochi in una posizione peggiore rispetto ai principali paesi europei. Ma ancor più preoccupanti sono le differenze interne tra regioni del Centro-Nord e del Sud (rilevate dai test INVALSI). Nell’anno scolastico 2013/2014, il 44% delle risposte degli studenti meridionali ai test di italiano nelle scuole medie è risultato errato. In Sicilia questa percentuale è arrivata al 46%, a fronte di valori per il Nord del 35%. Risultati ancor meno soddisfacenti si sono registrati per i test di matematica, con il 48% di risposte scorrette degli alunni meridionali, il 49% in Sicilia e il 39% al Nord Italia. Divari simili si sono registrati per i giovani che frequentano le scuole superiori.

L’identikit degli studenti con peggiori performance ha messo in mostra come sia importante l’influenza del retroterra socio-economico e culturale delle famiglie. Tale fattore, tuttavia, incide in tutte le aree territoriali del Paese senza che si registrino forti differenze. Nel Mezzogiorno, il 40% degli alunni con esiti negativi proviene da un contesto più disagiato, ma questa percentuale non varia molto per i loro coetanei settentrionali e siciliani (circa il 35%).

Ciò che differenzia maggiormente gli studenti siciliani e meridionali che hanno livelli di apprendimento più bassi è la loro più elevata concentrazione in alcune scuole. Il 55% degli allievi del Sud e il 43% di quelli siciliani con risultati meno soddisfacenti frequenta istituti con un’elevata presenza di giovani appartenenti a famiglie  disagiate. Questi valori si riducono al 34% al Nord e al 20% al Centro. Quando gli studenti con un retroterra familiare basso sono molto concentrati, come avviene nel Meridione, si determina una sorta di effetto moltiplicatore (“peer effect”) che incide negativamente. I risultati degli studenti siciliani che frequentano istituti “ghetto” sono di circa 20 punti inferiori rispetto a quelli di coloro che sono iscritti in scuole di élite (con incidenza bassa di famiglie in condizioni più disagiate). Questa differenza per il Mezzogiorno è di 18 punti, mentre al Centro-Nord scende a soli 8. 

L’indagine ha mostrato come l’influenza di un basso retroterra familiare sia amplificata in Sicilia e nel Mezzogiorno dalla maggiore presenza di scuole “ghetto”. Questa tendenza è confermata dalla circostanza che quasi il 50% degli istituti siciliani e poco meno del 40% di quelli del Sud si collocano nel quartile più basso fra le scuole che mediamente hanno risultati peggiori, mentre ciò accade solo al 15% delle istituzioni scolastiche settentrionali e al 20% di quelle dell’Italia centrale (dati riferiti ai test di matematica, scuole superiori). L’opposto si verifica per le scuole nel quartile più alto.

Un’altra caratteristica che influenza i risultati degli studenti siciliani e meridionali in genere è la maggiore segregazione delle classi sulla base del retroterra familiare dei giovani, con ulteriori effetti moltiplicatori: il 45% degli allievi siciliani che vanno peggio frequentano classi più omogenee per background familiare, mentre ciò accade per il 20% degli alunni settentrionali che vanno peggio. In altre parole, i risultati sono influenzati dalla maggiore incidenza di scelte organizzative che possono portare a classi ghetto e, quindi,  aumentare le disuguaglianze interne alla stessa scuola.

Il rapporto ha inoltre messo in luce come determinante sia il ruolo dei dirigenti scolastici e degli insegnanti nella costruzione dei livelli di apprendimento di base. Sono emersi, infatti, alcuni elementi distintivi che possono influire sulla formazione. In Sicilia e nel Mezzogiorno, sia i dirigenti che i docenti hanno un’età anagrafica e  un’instabilità nella sede mediamente più elevate dei loro colleghi che operano nel Centro-Nord. Nelle scuole medie meridionali il 33% degli insegnanti ha almeno 55 anni, a fronte del 25% nel Centro-Nord. Il 36% dei dirigenti scolastici in Sicilia e nel Sud ha oltre 60 anni, contro il 28% nel Centro-Nord. I segni dell’instabilità dei docenti meridionali si trovano non tanto nel tasso di precarietà, quanto in un più elevato grado di mobilità e di trasferimenti. Certamente, la maggiore mobilità è soprattutto dovuta a ragioni di avvicinamento alla famiglia ma anche, in una certa misura, alla presenza più diffusa al Sud e in Sicilia di “scuole di frontiera” che si tende ad abbandonare. Gli insegnanti del Mezzogiorno, inoltre, esprimono un livello di insoddisfazione più elevato nei riguardi degli istituti scolastici in cui lavorano e sono mediamente più assenti rispetto ai loro colleghi (i giorni medi di assenza per malattia sono 11 per i docenti siciliani delle medie, e si riducono a 9 nel Meridione, 8 nel Centro e 7 nel Nord).

Sono stati poi condotti degli studi di caso su una serie di scuole siciliane (4 medie inferiori, 4 istituti tecnici e professionali, 4 licei), che sono state messe a confronto con altre di pari livello localizzate in tre regioni del Mezzogiorno e del Centro-Nord: la Lombardia, la Toscana e la Puglia. La comparazione ha mostrato come in Sicilia e nel Mezzogiorno ci possono essere realtà scolastiche più efficaci. Nelle aree che sono maggiormente affette dai divari e dai ritardi nelle competenze di base, infatti, esistono margini significativi per contrastare il peso negativo del contesto ambientale. Quest’ultimo, attraverso una molteplicità di componenti, esercita condizionamenti particolarmente negativi e i suoi effetti restano comunque preponderanti. Tuttavia essi possono essere in parte condizionati o attutiti attraverso una combinazione virtuosa nei comportamenti e nelle strategie degli attori. Ciò avviene laddove, su impulso del dirigente o di un gruppo di insegnanti, si attiva una capacità cooperativa fra soggetti interni o esterni alla scuola (famiglie, associazionismo, governo locale). Non sono molte queste esperienze, ma esistono e vengono menzionate nella ricerca. La possibilità di intervenire sui fattori relativi a motivazione, impegno, professionalità e stabilità degli operatori chiama in causa, nel nostro sistema scolastico, politiche nazionali, peraltro da tempo discusse ma ancora da realizzare concretamente. Appare dunque chiaro che occorre potenziare la stabilità nelle scuole, la motivazione e l’impegno, ma anche la professionalità di dirigenti e insegnanti. È ormai ampiamente riconosciuto che la capacità di sciogliere questi nodi è decisiva per il buon funzionamento della scuola, ma il ritardo accumulato è grande e le prospettive di un intervento organico ed efficace restano difficili, in una situazione dei conti pubblici che peraltro non favorisce certo un rilancio degli investimenti sulla scuola.

 di Melania Federico

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