Comunicati stampa | 05/05/2017

46 anni fa l’omicidio del Procuratore della Repubblica Pietro Scaglione e dell’agente Antonio Lorusso

Il sacrificio del Procuratore Pietro Scaglione e dell’agente Antonio Lorusso (uccisi il 5 maggio del 1971 nella via Cipressi di Palermo) sarà ricordato sabato 6 maggio, alle ore 9.30, nell’Aula magna del Palazzo di Giustizia di Palermo, in occasione del Convegno dal titolo “L’assetto ordinamentale del Pubblico Ministero tra poteri e responsabilità”, organizzato dal Centro Siciliano di Studi sulla Giustizia.

Entrato in magistratura nel 1928, Pietro Scaglione mantenne la sua piena indipendenza dal regime fascista.  Nella sua lunga carriera di giudice e pubblico ministero, le battaglie in difesa dell’autonomia dei magistrati dal potere esecutivo si alternarono con l’impegno per la verità sui misteri e sui gialli siciliani.

In relazione alla strage di Portella della Ginestra di 70 anni fa, il Pubblico ministero Pietro Scaglione, nel 1953,  accreditò come principali moventi:  la “difesa del latifondo e dei latifondisti”; la lotta “ad oltranza” contro il comunismo che Salvatore Giuliano “mostrò sempre di odiare e di osteggiare”; la volontà da parte dei banditi di accreditarsi come “i debellatori del comunismo”, per poi ottenere l’amnistia; la volontà di “usurpazione dei poteri di polizia devoluti allo Stato”; la “punizione” contro i contadini che allontanavano i banditi dalle campagne.

Con riferimento agli assassini dei sindacalisti siciliani negli anni Quaranta e Cinquanta, l’allora sostituto procuratore generale Pietro Scaglione chiese l’ergastolo per i boss imputati dell’omicidio del sindacalista Placido Rizzotto e il rinvio a giudizio per gli accusati dell’omicidio del sindacalista Salvatore Carnevale. Nelle sue dure requisitorie, il pubblico ministero Scaglione parlò di “febbre della terra” ed esaltò le lotte sindacali.

Secondo quanto scrisse, poi , il giornalista Mario Francese (ucciso dalla mafia nel 1979), il Procuratore Pietro Scaglione “fu convinto assertore che la mafia aveva origini politiche e che i mafiosi di maggior rilievo bisognava snidarli  nelle pubbliche amministrazioni. E’ il tempo del cosiddetto braccio di ferro tra l’alto magistrato e i politici, il tempo in cui la linea Scaglione portò ad una serie di procedimenti per peculato o per interesse privato in atti di ufficio nei confronti di amministratori comunali e di enti pubblici”. Il riacutizzarsi del fenomeno mafioso, negli anni 1969-1971, “aveva indotto Scaglione ad intensificare la sua opera di bonifica sociale”, infatti, richieste di “misure di prevenzione e procedimenti contro pubblici amministratori ……. hanno caratterizzato l’ultimo periodo di attività del Procuratore capo della Repubblica”. (M. FRANCESE, Il giudice degli anni più caldi, in il Giornale di Sicilia, 6 maggio 1971, p. 3).

In questo contesto – come affermò Paolo Borsellino – “la mafia condusse una campagna di eliminazione sistematica degli investigatori che intuirono qualcosa. Le cosche sapevano che erano isolati, che dietro di loro non c’era lo Stato e che la loro morte avrebbe ritardato le scoperte. Accadde così per Scaglione […]” (in  La Sicilia, 2 febbraio 1987, p.10) .

L’uccisione del Procuratore Scaglione - come scrisse, a sua volta, Giovanni Falcone - ebbe sicuramente “lo scopo di dimostrare a tutti che Cosa nostra non soltanto non era stata intimidita dalla repressione giudiziaria, ma che era sempre pronta a colpire chiunque ostacolasse il suo cammino” (in La Posta in gioco, edizioni Bur, 2011, p. 320).

Le causali dell’omicidio del Procuratore Scaglione e del  precedente sequestro del giornalista Mauro De Mauro – come scrisse lo storico Francesco Renda - erano “inequivocabili”: “Si trattava di una ripresa del terrorismo mafioso tipo 1946-1948, non più però contro dirigenti sindacali e politici del mondo contadino, bensì contro la stampa e un corpo essenziale dello Stato, come l’organo giudiziario” (in Storia della mafia. Come, dove, quando,Palermo, Sigma edizioni, 1997, p. 374).

Il Procuratore Scaglione svolse altresì, con impegno e dedizione, la funzione di Presidente del Consiglio di Patronato per l’assistenza alle famiglie dei detenuti ed ai soggetti liberati dal carcere, promuovendo, tra l’altro, la costruzione di un asilo nido; per queste attività sociali, gli fu conferito dal Ministero della Giustizia il Diploma di primo grado al merito della redenzione sociale, con facoltà di fregiarsi della relativa medaglia d’oro.

Infine, con Decreto del Ministero della Giustizia del 1991, previo parere favorevole del Consiglio Superiore della Magistratura, Pietro Scaglione fu riconosciuto “magistrato caduto vittima del dovere e della mafia”.

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